IL VECCHIO BLOG DI ADRIANO Creative Commons License
                                        
         
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domenica 30 marzo 2008

Elle Elle Stadi 2008 "5 luglio"

Il sedici gennaio 2008, lo avevo detto :
"Mi piace andare ai concerti.
Dagli anni ottanta ad oggi, ne ho visti tantissimi e in alcuni casi, mi sono ripetuto. In che senso mi sono ripetuto? È chiaro, con certi cantanti/cantautori, c’è veramente da divertirsi, quindi…tra gli italiani sicuramente il classico è
Vasco Rossi, ricordo ancora quando si esibiva nei palazzetti dello sport, adesso sarebbe impensabile. Un altro concerto che non perdo quasi mai è quello di Luciano Ligabue, indimenticabile il suo concerto al Campovolo, peccato per l’acustica. Quindi, per me i concerti dei due rockettariemiliani, sono un appuntamento imperdibile. Ieri su Ligachannel è stato annunciato il tuor estivo “Elle Elle Stadi 2008”, che sarà sicuramente e come sempre straordinario sotto tutti i punti di vista. Negli ultimi anni, per Vasco e Ligabue, se non si è più che pronti ad acquistare i biglietti appena sono messi in vendita, si corre il rischio di restare a bocca asciutta, perciò, faccio subito un bel nodo al fazzoletto…"
Finalmente, dopo aver visitato quotidianamente TicketOne per molto tempo (prima), ed avere aspettato la consegna da parte del corriere espresso (poi), avere preso possesso del prezioso tagliandino è contemporaneamente la fine di un'attesa estenuante e l'inizio di un'altra attesa...quella del giorno del concerto a San Siro: cinque luglio duemilaeotto.

venerdì 28 marzo 2008

La ricerca della felicità_13

Ricevo questo sms, che per ovvi motivi di privacy, pubblicherò omettendo i dati confidenziali.
Cerchiamo operai metalmeccanici disponibili su tre turni per azienda di V--------a…. Chiama il num. 0123 456 789.
Poco dopo ricevo un nuovo sms, che per i soliti ovvi motivi di privacy, pubblicherò, come il precedente, omettendo i dati confidenziali.
Cerchiamo operai metalmeccanici disponibili su tre turni per azienda di V--------a….chiama il num. 0123 456 789.
Che faccio? Si tratta del paese dove ho lavorato gli ultimi tredici anni e se non ricordo male, l’azienda era del ramo metalmeccanico e molti facevano i tre turni. Accipicchia, sarebbe proprio una coincidenza surreale venire contattato per andare a lavorare nell’azienda che mi ha collocato in mobilità. Proprio adesso poi, che tra l’altro, ho appena trovato una collocazione … proviamo a chiamare e sentiamo un po’.
« Buongiorno, ho ricevuto un messaggio che mi propone un posto di lavoro come operaio a V--------a, sarei interessato alla vostra proposta, ma, avrei una domanda da farle » e così passo all’incirca cinque minuti a spiegare la mia posizione attuale e dopo un’iniziale reticenza da parte della mia gentile interlocutrice, riesco a farmi dire di quale azienda si tratta. L’ho presa con filosofia, giuro…la ditta, è proprio quella dove lavoravamo io e tutti gli altri “esuberi” che sono stati collocati in mobilità a settembre. E ora, dopo sette mesi, la stessa azienda torna sul mercato, ma, cercando assunzioni attraverso un’agenzia di somministrazione di lavoro (così anche i sindacati sono contenti). È triste sapere che tutto l’impegno messo in tanti anni, è considerato dagli attuali dirigenti solo ed esclusivamente un costo finalmente eliminato.
Ho mandato un paio di sms ironici a qualche ex collega, ma non ho ricevuto nessuna risposta, censura?
Meditate cari amici che siete rimasti sul TITANIC, siete solamente dei costi, forse nel migliore dei casi numeri…forse…

sabato 22 marzo 2008

Fuori da un evidente destino

L'unico suono della città era il fischio del treno.
Da sempre, sulla ferrovia che tagliava in due Flagstaff col suo colpo di scimitarra, passavano diverse volte al giorno i treni merci della Amtrak. Le locomotive sfioravano la stazione in mattoni rossi con il loro cauto passo di rotaia e nella fatica del viaggio sembravano animali in ansia solo per la strada da fare, senza nessuna cura per quello che si trascinavano dietro. Erano lunghe litanie di vagoni, che parevano arrivare dal niente e che nello stesso posto sembravano diretti, con il loro carico di container dai colori slavati e coperti di scritte bianche. A volte tutti portavano il logo della China Shipping. Quella scritta esotica creava allo sguardo e alla mente l'immagine di posti altrove, di gente al di là del mare che in quella cittadina nel centro dell'Arizona, sole rosso d'estate e freddo bianco di neve l'inverno, erano parte della conoscenza di tutti e dell'esperienza di nessuno. Il tempo di capire che era soltanto un'illusione e i treni già se ne andavano con la sequenza di un rosario. Sferragliavano lenti e indolenti verso Est, si perdevano alla vista costeggiando per un tratto la vecchia Route 66 e lasciandosi alle spalle solo quel fischio acuto come saluto e avvertimento. A Caleb Kelso pareva di poterlo sentire anche da lì, mentre all'altezza della Snowplay Area abbandonava la Fort Valley Road per svoltare a destra e imboccare la striscia essiccata della Gravel Highway, la strada sterrata che sasso dopo sasso saliva verso Nord come una screpolatura della terra, fino a diventare la ferita rossa e insanguinata del Grand Canyon. Il Ford Bronco che guidava si adattò di malavoglia al nuovo percorso, con un cigolio di sospensioni e un risuonare di giunture medievali e di chiavi inglesi nella cassetta degli attrezzi fissata sul pavimento tra i due sedili. Caleb era affezionato a quel vecchio pick-up, che aveva sulla carrozzeria tante macchie di stucco da renderlo più mimetico della tuta che indossava. Volente o nolente, quello era il solo mezzo di locomozione che riuscisse a permettersi alla luce delle sue finanze attuali. Era costretto a rappezzarlo da sé come poteva, a mano a mano che qualche parte della carrozzeria o del motore abbandonava il mondo precario delle auto in circolazione. Necessità e virtù saldate tra di loro, che viaggiavano sulle stesse quattro ruote col viatico di una targa dell'Arizona. Le cose se ne andavano e non c'era verso di fermarle. Solo di cambiarle, se uno aveva la possibilità. E lui ce l'aveva, Cristo santo se ce l'aveva. Caleb Kelso, a differenza di tanti altri, aveva un progetto. Questa, secondo lui, era l'unica cosa che contava davvero nella vita. Avere un progetto, per quanto velleitario potesse sembrare. La storia era piena di episodi del genere. Quello che a molti era sembrato un semplice sogno di pazzi visionari, per quei pochi che ci avevano veramente creduto era diventato un grido di vittoria. Era solo questione di tempo e prima o poi anche lui avrebbe raggiunto il risultato a cui stava lavorando da anni. In un momento avrebbe cancellato tutta la fatica, tutte le notti bianche e tutto il denaro speso, ma soprattutto le derisioni e le risatine di scherno alle sue spalle. Una volta aveva letto da qualche parte che la grandezza di un uomo si misura da quanti stupidi gli danno addosso. Allora quelli che lo prendevano in giro si sarebbero mangiati il fegato, condito con la stessa merda che gli avevano sparso addosso. Sarebbero piovuti gloria e milioni di dollari e il suo nome sarebbe finito nella lettera K di tutte le enciclopedie del mondo. Kelso, Caleb Jonas. Nato a Flagstaff, Arizona, il 23 luglio 1960, l'uomo che era riuscito a... Scosse la testa e allungò una mano per accendere la radio come se con lo stesso gesto potesse accendere la sua sorte futura. L'unico risultato che ottenne fu la voce delle Dixie Chicks che chiedevano a un cow-boy di riportarle a casa e di amarle per sempre. In quel momento della vita per Caleb il concetto di casa e di amore era feroce e acuminato come il coltello Bowie che aveva appeso alla cintura. La sua casa stava letteralmente cadendo a pezzi e in quanto all'amore... Ebbe una rapida visione dei capelli biondi di Charyl che gli fluttuavano come alghe sulla pancia mentre gli faceva un pompino. Charyl. Spense l'ondata di calore allo stomaco e la radio con la stessa rabbia schiumosa e ricacciò la canzone a galleggiare muta nell'etere da cui l'aveva evocata. Distolse un attimo lo sguardo dalla strada e da tutte le visioni che la costeggiavano con il loro filo spinato. Di fianco a lui, il suo cane Silent Joe stava accucciato sul sedile del passeggero e guardava fuori dal finestrino con aria indifferente. Allungò una mano a carezzargli la testa. Silent Joe si voltò per un istante con occhio sospettoso e poi tornò a girare la testa dall'altra parte, come se fosse molto più interessato alla sua immagine riflessa nel vetro. A Caleb piaceva quel cane. Aveva carattere da vendere. O se non altro aveva un carattere molto simile al suo, commerciabile o meno che fosse. Per questo lo faceva sedere in cabina accanto a lui e non lo costringeva sul cassone dietro come facevano tutti gli altri cacciatori, che se ne andavano in giro con mezzi addobbati di teste canine che spuntavano dalle sponde e che avevano l'espressione di condannati a morte su una tradotta. Per poi disperdersi nei boschi abbaiando come forsennati quando i loro padroni scendevano dalle macchine, si mettevano in spalla i Remington o i Winchester e iniziava la caccia. Silent Joe non abbaiava mai. Non l'aveva fatto nemmeno quando era un cucciolo tutto zampe e con addosso una quantità di pelle tre taglie superiore alla sua. Per questo motivo al suo nome originale, Joe, si era ben presto aggiunta la qualifica di silenzioso, che lui si portava appuntata al petto con noncuranza come un'onorificenza. Se ne andava in giro senza parere con la sua andatura dinoccolata al limite della disarticolazione, al punto che guardandolo correre Caleb spesso aveva pensato che i movimenti, più che coordinarli, li sorteggiasse. Ma era il compagno ideale per la caccia con l'arco, quella che Caleb preferiva su ogni altra al mondo, una caccia fatta di appostamenti, immobilità, silenzio e cura del vento, per impedire di essere fiutati dalle prede. Un cervo, se stava sottovento, riusciva a sentire l'odore di un uomo o di un cane a una distanza di ottocento iarde e in pochi minuti quella distanza farla diventare di otto miglia. Non poteva dire che Silent Joe fosse veramente il suo cane, perché quell'animale dava l'idea di appartenere solo a se stesso. Ma era in fondo l'unico vero amico su cui potesse contare, per la commozione di tutte le nonne che ricamavano «Home, sweet home» sulle loro tovagliette di lino.



Fuori da un evidente destino.
Libro appassionante. Unico neo per me, è stato l'inizio. Non riuscivo a entrare in sintonia con la trama, poi...ancora una volta, Faletti, è riuscito a farmi passare notti insonni, inoltre in questo romanzo riesce a descrivere in modo coinvolgente e affascinante la tribù dei Navajo. Ha sicuramente rotto con il suo vecchio filone. Per ciò che mi riguarda, oserei dire, che nel finale è stato quasi commovente. Geniale nella descrizione degli avvenimenti e dei personaggi.

lunedì 17 marzo 2008

La ricerca della felicità_12

«Quando siete felici, guardate nel fondo del vostro cuore e scoprirete che è proprio ciò che vi ha dato dolore a darvi gioia. E quando siete tristi, guardate ancora nel vostro cuore e saprete di piangere per ciò che ieri è stato il vostro godimento...sono inseparabili. Giungono insieme, e se l'una siede alla vostra mensa, ricordate che l'altro è addormentato nel vostro letto»
Oggi, diciassettemarzoduemilaeotto, dopo quasi sette mesi, finalmente la vera svolta, ecco l'uscita del tunnel...
OGGETTO: LETTERA DI ASSUNZIONE A TEMPO DETERMINATO L. 223/91

A seguito degli accordi intercorsi siamo lieti di confermarLe l’assunzione a tempo determinato presso la nostra società con decorrenza dal 17/03/2008. L’assunzione avverrà alle condizioni di seguito riportate…
Per un'anno quindi ho un contratto che dovrebbe assicurarmi di poter lavorare, dovrei essere al settimo cielo, ma, non lo sò...allora, ho trovato lavoro vicino a casa, anzi vicinissimo, tanto che potrei tranquillamente andarci a piedi, è un lavoro pulito, impegnativo quanto basta, lontano da fumi e rumori, nonostante il contratto non escluda il mio utilizzo anche in mansioni meno pulite... allora cos'è che mi impedisce di piroettare come un'acrobata?

mercoledì 12 marzo 2008

Sushi, Sashimi e Wasabi

La prima esperienza l’ho avuta negli anni ottanta, e devo dire che fu negativa al punto di convincermi a non tornarci più per molti anni...
Milano, un giorno qualunque, niente di particolare, il solito caos, il solito mix di inquinamento e stress. Ora di pranzo e giusto per provare qualcosa di nuovo, io e la mia compagna di allora, che poi è la mia compagna di adesso, spinti dalla fame, entrammo in un ristorante giapponese. Noi, ignorantissimi riguardo a come si nutrono i giapponesi, esordimmo con un bel «cosa ci consiglia?» la cameriera che molto probabilmente aveva capito solo in parte la nostra domanda, rispose «sushi o sashimi» panico!!! «sì, ok, ma di che si tratta?» «sushi è sushi, sashimi è sashimi» aridaje! Beh tanto per farla corta, il siparietto noi vs camerieragiapponese, proseguì qualche minuto fino a quando sconfortati dalla nostra ignoranza in materia e per il timore di incappare in qualcosa di orribile, decidemmo di rimandare la nostra prima esperienza e optammo per rifocillarci in un ristorante più diffuso e conosciuto all’epoca (ricordo che erano gli anni ottanta): il cinese. Sbagliammo! Ora, dopo molti anni, probabilmente grazie ad una maggiore diffusione di ristoranti giapponesi e ad una voglia di sperimentare modi di cucinare/mangiare inusuali per noi italiani, non tanto il sushi, ma il sashimi è diventato uno degli alimenti che consumo di più. Ho scoperto anche una salsa che per me, quando mangio cibo giapponese, è come una droga: wasabi. Non posso farne a meno, fortunatamente, sembrerebbe che faccia bene al nostro organismo. L’esperienza giapponese è quindi cambiata da negativa a positiva. Ultimamente abbiamo provato l'esperienza ristorante indiano...questa però è un'altra storia. Qualche consiglio riguardo le cucine tradizionali da provare?

martedì 4 marzo 2008

Quando un operaio muore

Oggi Beppe Grillo ha publicato questo post che vado a riproporre perchè in parte condivido ciò che ha scritto e in parte perchè offre molti spunti di riflessione...
Quando un operaio muore i politici di destra, di sinistra e di centro si indignano.
Vero, anzi no, l'indignazione dei politici di destra e di sinistra, si vede da lontano un chilometro che è dettata da questa campagna elettorale.
Quando un operaio muore domani Prodi fa il decreto legge.
Vero, il vecchio Romanone, si affretta a fare un decreto su di una cosa che non conosce minimamente, il lavoro...duro.
Quando un operaio muore Topo Gigio Veltroni candida gli industriali, “ma anche” un sopravvissuto della Thyssen Krupp.
Vero, speriamo solo che non dimentichi rapidamente le proprie origini.
Quando un operaio muore Ichino dice che “Da noi manca la cultura delle regole”.
Quando un operaio muore il Presidente della Repubblica soffre e auspica in televisione.
Quando un operaio muore Maroni dice “Non è colpa dei governi, perché le leggi ci sono”.
Quando un operaio muore nessuno parla della legge 30, dei precari, dei ricatti che subiscono, della legge del padrone e degli estintori vuoti “altrimenti vai a casa”.
Quando un operaio muore, oggi Fassino e D’Alema, ieri Berlinguer e Pertini.
Minchia, avanti così, domani avremo Paperino e Topolino.
Quando un operaio muore il padrone ha già messo i soldi da parte.
Quando un operaio muore la vedova e i figli finiscono in mezzo a una strada.
Quando un operaio muore i sindacati dichiarano uno sciopero di solidarietà di due ore.
Muahahahahahahah, a cosa dovrebbero servire?
Quando un operaio muore la colpa è del casco, se l’è cercata.
Quando un operaio muore la colpa è che se si lamentava per l’insicurezza veniva licenziato subito perché precario.
Quando un operaio muore è un assassinio, quasi sempre.
Quando un operaio muore faceva un lavoro a rischio, doveva succedere.
Quando un operaio muore si danno incentivi alle aziende che diminuiscono gli incidenti e non si chiudono quelle che producono i morti.
Quando un operaio muore è perché la sicurezza è troppo onerosa per la Confindustria.
Che schifo!
Quando un operaio muore è un fatto di business, qualcuno ci ha guadagnato sopra.
Quando un operaio muore se faceva il politico campava cent’anni.
Forse sì, ma, per me è meglio un giorno da leone (operaio) che 100 da ladrone.
Chiaramente si tratta di un tema che meriterebbe moltissime riflessioni e considerazioni, e non solo di qualche mugugno sussurrato tra i denti, ma una cosa è certa però, finchè ci sarà il precariato ci sarà sempre chi non potrà rivendicare il proprio diritto di poter lavorare in assoluta sicurezza.

domenica 2 marzo 2008

I pilastri della terra

La notte del 25 novembre 1120 la White Ship partì per l’Inghilterra e naufragò al largo di Barfleur causando la morte di tutti coloro che erano a bordo, tranne uno. Il vascello rappresentava l’ultima novità in fatto di trasporti marittimi, ed era dotato di tutte le attrezzature conosciute alla cantieristica del tempo. La notorietà del naufragio è dovuta al numero elevatissimo di personaggi illustri imbarcati sulla nave: oltre al figlio ed erede del re c’erano due bastardi reali, numerosi conti, nobili, e gran parte del seguito del sovrano; la conseguenza storica fu che Enrico rimase privo di erede, e il risultato conclusivo fu la successione contestata e il periodo di anarchia che seguì la morte di Enrico… tutto il libro vive le conseguenze di questo naufragio, più di mille pagine per una grande storia.

Dal 1123 al 1174, nel medioevo inglese, si vivono intrighi e tradimenti, conflitti religiosi e amori appassionanti si combattono guerre civili e lotte spietate per la successione al trono.



San Remo 2008

Finalmente anche quest’anno riesco a mettermi davanti alla tv a seguire il festival di San Remo, lo seguo da sempre, senza dare mai la minima importanza alle polemiche che ogni anno piovono sul festival, non sono un amante di pettegolezzi e/o dei luoghi comuni, quindi le stupidate che ogni anno vengono puntualmente rispolverate non mi interessano… mannaggia, è un po’ tardi… i Tiromancino cantano una canzone che parla se non ho sentito male di un “tagliateste”, porco mondo e porco pure il protagonista della canzone, quanto è vera e attuale. Ecco Frankie Hi Nrg, anche questo pezzo, mi è sembrato molto attuale, pure troppo…. Eppoi, muahahahaaa, che ridere vedere Giampiero Mughini e Emilio Fede scagliarsi a spada tratta come impavidi cavalieri contro il “nemico” mi sta venendo su il sushi... ecco il primo ospite, anzi, i primi ospiti che riesco a vedere: Elio e Le storie tese, geniali, grandissimi. L’ultimo ad esibirsi è Francesco Tricarico. Qui, vorrei soffermarmi solo un secondo sul personaggio, mi ha dato l’impressione di essere molto sensibile e il pezzo che ha proposto mi è piaciuto davvero parecchio, tra quelli che ho sentito, è proprio lui il mio vincitore, se non ho sentito male poi, poco prima di esibirsi ha sussurrato nel microfono uno stron… era forse per Piero Chiambretti che lo provocava in continuazione? Parte il consueto countdown per decretare il vincitore… terzo: Fabrizio Moro, il vincitore nelle nuove proposte lo scorso anno. Seconda: Anna Tatangelo. Primi: Giò Di Tonno e Lola Ponce, machic….sonostìdue? fammeli sentire… uagliò sono proprio bravi. Vabbè, San Remo è San Remo e anche quest’anno appartiene al passato.