Ieri sera siamo stati in un ristorante giapponese di Sesto San Giovanni, niente di particolare, l’unica anomalia per essere un ristorante giapponese è la possibilità di scegliere anche piatti di cucina italiana, pizza, spaghetti carne o pesce cucinati secondo la nostra usanza. È chiaramente un’anomalia perché fino ad ora mi è capitato di vedere ristoranti cinesi con pizzeria, oppure pizzerie gestite da egiziani, ma quest’abbinamento onestamente non lo avevo mai visto.
Sinceramente non era la prima volta che andavamo in questo ristorante e la motivazione è stata sempre la stessa: la voglia di mangiare fuori senza però essere tutti d’accordo su cosa mangiare.
Infatti, non è raro iniziare con «stasera mangiamo fuori?» ma dopo pochi minuti trovarsi tutti su posizioni differenti, «io voglio mangiare giapponese», «io pizza», «io cinese», «a me invece andrebbero due spaghetti», che casino, la soluzione sono proprio questi posti che in tutta onestà non offrono una qualità eccelsa in ciò che propongono, ma accontentano un po’ tutti.
Il locale quindi è l’ideale per comitive dai gusti diversi proprio come noi ieri sera.
Il mangiare giapponese è solitamente servito accompagnato dalle salse tradizionali, per esempio, la salsa di soia. È proprio la salsa di soia il bivio della serata, perché quando la cameriera si è approssimata al nostro tavolo con una piccola torre composta da piattini destinati a contenere le salse e una piccola teiera contenente proprio la salsa di soia, forse a causa di una piccola scossa sismica nell’avambraccio destro… splash, signore e signori, eccovi servita la salsa di soia … sui giacconi.
«Noo cacchio» questa è stata l’esclamazione della povera cameriera, noi abbiamo provato a tranquillizzarla «non si preoccupi, niente di grave» ma avvolti da un forte odore di salsa e nell’imbarazzo generale, riprendere la nostra cena come se niente fosse, non è stato semplice, però ci siamo riusciti, abbiamo cenato, chi con la pizza chi con il sushi o sashimi, abbiamo preso il dolce e dopo aver scambiato due chiacchiere, ci rechiamo alla cassa per pagare.
È a questo punto che succede una cosa alquanto imbarazzante, e dire imbarazzante è poco perché la cameriera/cassiera anziché porgermi il conto, allunga una banconota da 20 € «siamo a posto così, questi sono per la lavanderia».
Preso così, senza un minimo preavviso, resto praticamente imbambolato, ma, l’imbambolamento dura un secondo, poi, inizia il valzer del “no, senta, non è proprio il caso, per noi non è successo nulla…” la posizione della cameriera/cassiera però non cambia nemmeno di un millimetro, in sostanza ci ha costretti quasi a scappare, voleva offrirci, amari, liquori, caffè, dolci…
In auto, tornando a casa, riconsiderando l’accaduto, mi domandavo quante volte, nella vita mi è capitato in un ristorante di avere a che fare con persone che ammettono senza nessun problema di aver sbagliato e addirittura non ti presentano il conto, ancora adesso, dopo quasi un giorno, non sono riuscito a ricordare niente di simile.
Sbagliare è umano, ammetterlo, richiede una grande umanità.