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domenica 26 ottobre 2008

Il primo tagliando

Mille.
Sono già arrivato al traguardo del primo tagliando, prima di acquistare il
TMax, non pensavo di metterci così poco, ma adesso che ci sono, per me è tutto più che naturale, ho praticamente abbandonato l’uso dell’automobile.
Per ovvi motivi, mi sono recato con la mia compagna presso il rivenditore dove l’abbiamo comprato per stabilire quando fosse possibile lasciarlo in officina.
Appena arrivati, abbiamo fatto una bella passeggiatina nel negozio, abbiamo ammirato tante belle moto fiammeggianti, ci siamo persi in una discussione tanto “pour parler” su quale fosse il casco più bello, sì sul più bello non sul più sicuro, oggi volevamo solo cazzeggiare, non acquistare, infatti, non abbiamo comprato niente… ipip urrà-ipip urrà
Dopo aver visto delle belle giacche da moto (la tentazione di spendere soldi è stata sconfitta anche in questo caso) abbiamo introdotto il discorso tagliando con una gentile signora un pelino priva di spirito.
La gentile signora un pelino priva di spirito, ci spiega molto cortesemente che sarebbe meglio non superare i mille chilometri per motivi a suo dire tecnici… l’impressione che ho avuto è che così facendo, mettono il cliente davanti ad una specie di ricatto “attento! Se superi quella riga, boom!”
Ovviamente, io non amo queste imposizioni, ho la necessità di poter decidere io quando e come spendere i miei soldi, almeno per il tagliando… inoltre come dicevo non uso quasi più l’automobile, perciò per un discorso logistico, l’ideale sarebbe lasciare la moto il venerdì sera e ritirarla il sabato, così escludi oggi, escludi domani, abbiamo stabilito la fatidica data tra un paio di settimane.
Da qui in poi, solo a data stabilita, è iniziato il divertimento, ovviamente per me… «in un paio di settimane comunque, penso che potrei fare altri cento/centocinquanta chilometri, non dovrebbe accadere niente. Sbaglio?»
La risposta è ghiaccio «non saprei fate voi».
«Beh, dai non sono mica tanti, Forrest Gump in una settimana ne avrà percorsi duecentocinquanta di chilometri».
La mia interlocutrice esagera con la risposta, dietro agli occhiali, lontanissimi, due occhiettini piccoli piccoli e fissi «!!!?!!!»
Lo ammetto mi ha spiazzato, non so più che dire, non mi capita spesso di non riuscire a fare la figura del rompiballe, ma, improvvisamente da chissà dove, mentre la mia compagna che prevedendo la mia prossima controbattuta, cambiava i colori del viso rosso-bianco-rosso-viola-rosso-rossissimo con svampate di vapore che fuoriesce dalle orecchie, con tutta la naturalezza del mondo e con un bel ghigno da indiano stampato in faccia parto di nuovo all’attacco «…sì Forrest Gump, quello del film, ce l’ha presente?» niente non favella, adesso ti faccio vedere io «No! non ha mai visto Forrest Gump? in pratica lui correndo, ha attraversato gli USA a piedi… e non ha nemmeno cambiato l‘olio».
A questo punto perdo la speranza, l’espressione della sciura non cambia.
Solo adesso, ripensandoci capisco che il film l’aveva visto e stava solamente applicando una delle frasi celebri di Forrest «la mia mamma mi diceva sempre, ricordati Forrest, stupido è chi lo stupido fa».

lunedì 20 ottobre 2008

Tutto vero, anzi peggio

È tutto vero, anzi peggio.
Oggi approfittando di un giorno libero, sono andato a far visita ai miei vecchi colleghi, ho trovato una situazione a dir poco deprimente.
Quella che fino a un paio d’anni fa era una’azienda sana, forte, che dava lavoro a molte persone, che riusciva a produrre tantissimo, improvvisamente è diventata una ditta spenta, che viaggia al 30% delle proprie possibilità, che obbliga i dipendenti a fare ferie in un periodo in cui nessuno le farebbe e a nessuno servono, è evidente che si tratta di una ditta con grossi problemi.
In una situazione del genere, sarebbe normale aspettarsi da parte di chi ogni giorno dedica le proprie forze per cercare di mandare avanti il carrozzone, un minimo d’incazzatura, invece, niente di niente, tutti tranquilli, con il sorrisino sulla bocca dalla quale però escono i mille dubbi che la mente in questo caso può elaborare.
«andiamo avanti fino a fine dicembre, poi forse a gennaio, probabilmente, niente di certo, però … magari a gennaio potremmo trovare tutto chiuso» tutto ciò mi sarà stato detto in modi diversi, (ma il succo è questo) da almeno venti persone in un paio d’ore, qualcuno a dire il vero ha paventato la possibilità che la ditta possa essere acquistata da chissàchiechissàcome.
Non riesco veramente a credere che nessuno e per nessuno intendo nemmeno uno, abbia manifestato una rabbia giustificata dal rischio di restare disoccupato.
Ragazzi, amici, a me è sembrato tutto vero, reagite, provateci, prima che sia tutto peggio.

«Ciao capo»

«Ciao capo»
Questo è quello che mi sono sentito dire da un ragazzo con un evidente accento “straniero”
«Ah ciao, tu sei, tu sei… no dai ascolta, non mi ricordo più chi sei, scusami ma…»
«Lavoravamo insieme????»
«…è vero!!! Scusami sai, ma, eravamo in molti e poi, sei un po’ ingrassato o sbaglio?».
Per me è normale fare queste figuracce, comunque sia, io e il mio ex collega, iniziamo a parlare del più e del meno fino a quando inevitabilmente, al centro dei nostri discorsi si insinua il tema lavoro.
Scopro così che nella ditta dove ho lavorato fino al settembre 2007, non tira una buona aria, o meglio, non si tratta di aria, si tratta a quanto pare di una nuova tornata di “esuberi da incentivare all’esodo” il tutto chiaramente con la supervisione dei sindacati che anche questa volta applicheranno la politica del meglio cinquanta che trecento, e così sarà fino a quando i trecento saranno tutti precari, anzi, lavoratori a disco orario.

E poi?

Che pazzia, come si fa a pensare di ridurre così il mondo del lavoro?
Come si fa a permetterlo?
Chiaramente il fatto che molti miei ex colleghi debbano subire continue riduzioni d’orario obbligatorie, non mi ha fatto molto piacere.
Ci salutiamo, solo dopo aver cercato di dargli coraggio, dicendogli che non deve preoccuparsi «in Lombardia, chi ha voglia di lavorare trova sempre qualcosa da fare, basta accontentarsi, vai tranquillo»
(ormai però, ci credo poco anch’io).

sabato 18 ottobre 2008

Harry Potter e la pietra filosofale

Harry Potter è un ragazzo sfortunato, vive nel sottoscala degli zii, i Dursley, a volte gli capitano strane cose che non riesce a spiegarsi e che non vorrebbe assolutamente fare capitare.
La sua vita scorre piatta e senza gioia, fino a qualche giorno prima del suo undicesimo compleanno, quando inaspettatamente riceve una misteriosa lettera, che a causa della perfidia degli zii, non riesce a leggere, ma... il mittente non desiste e utilizzando come postini dei gufi, inizia a spedire migliaia di lettere, tutte metodicamente distrutte dai soliti zii, che per porre fine a questa storia delle lettere, decidono di trasferirsi su di un isola deserta, in una baracca fatiscente.

Il giorno del suo undicesimo compleanno però alla porta della catapecchia bussa qualcuno, è senza dubbio un essere gigantesco, tutto trema, la porta viene addirittura sfondata, tra il terrore generale Harry Potter conosce Hagrid.

La sua vita cambia drasticamente e finalmente Harry scopre la vera storia sulla scomparsa dei suoi genitori, quindi il motivo che lo obbliga a vivere da recluso.

In Hagrid trova un amico e grazie ai suoi consigli, si prepara ad affrontare un'esperienza straordinaria nella scuola di magia e stregoneria di Hogwarts, presidiata da Albus Silente.

giovedì 9 ottobre 2008

Il diritto di morire

I progressi medici e scientifici degli ultimi anni ci hanno in qualche modo illusi di aver quasi raggiunto l'immortalità, facendoci dimenticare che la morte è un fatto biologico.
La malattia, sostiene Veronesi, stabilisce una relazione così stretta fra medico e paziente da far sì che il medico sia in grado di interpretare le volontà dell'ammalato, non ultimo il rifiuto di sottoporsi a cure inutili, e il desiderio di morire con dignità. Il libro, delinea la posizione intorno a questo tema dei vari Stati europei dove con l'eccezione di Olanda e Belgio, l'eutanasia è equiparata all'omicidio. Illustra infine il problema del difficile accesso alle cure palliative in Italia, dove esistono ostacoli legislativi all'uso farmacologico degli oppiacei.
A volte, quando mi capita di parlare di questo tema, non esito a sostenere che piuttosto che passare molti anni attaccato ad una macchina, preferirei l'esatto contrario, non voglio dire che non sia giusto fare il possibile per cercare di salvare una vita umana, ma accanirsi, non lo trovo giusto.
Chiaramente, è inutile dire che su un tema del genere, così delicato, personale, sia veramente difficilissimo avere le ideee chiare, magari condivise anche da altri, ma proprio perchè si tratta di idee personalissime, secondo me, non dovrebbero essere imposti nè l'accanimento, nè l'eutanasia.